venerdì 2 maggio 2014

Ilenia Urso


Ricordo che da piccola amavo accompagnare mio padre dal fotografo dietro casa a ritirare le foto dell'ultimo compleanno, dell'ultima gita con la scuola. Prima ancora di guardare le stampe mi piaceva srotolare i negativi e annusarli, non avevo nemmeno la più pallida idea di cosa si trattasse. Tantomeno pensavo già a dieci anni che guardare dal mirino di una macchinetta avrebbe avuto una qualche importanza nella mia vita. Mi piaceva e basta.



La consapevolezza che la fotografia potesse trovare un posto nelle mie giornate è arrivata molto dopo. Non ho volontà artistiche, nè pretese, se non l'unica quella di assecondare l'esigenza di scattare quando occhi,stomaco e cuore lo richiedono.



Passo mesi interi a volte, lasciando prender polvere alla mia macchinetta. Aspetto che si riaprano i polmoni e tornino gli stimoli, allora diventa come un ritorno a casa dopo mesi d'assenza.



Come a dieci anni non ho intenzioni, ma l'odore della pellicola che scorre tra i denti della macchinetta e che si srotola tra le mani mi manda ancora su di giri, sì.


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